venerdì 24 maggio 2013

Lev Tolstoj

...domani 25 maggio 2013 ore 17.00 all'osteria internazionale ,nel borgo di Portico,si inaugura la mostra di Maya e Artemy Bragini giovani fratelli russi.Questo è Tolstoj disegnato da Artemy,una mostra da non perdere...

mercoledì 1 maggio 2013

primo maggio 2013

...dedico questo primo maggio alla cooperativa zappatori senza padrone di Pianbaruccioli valle dell'Acquacheta
AurelioRaggi

venerdì 26 aprile 2013

giovedì 25 aprile 2013

lunedì 22 aprile 2013

Usseni Denne




Il piccolo Ussi  amico del Burkina Faso ieri mattina ci ha ritratto al volo,
Aurelio Davide Silvia

giovedì 18 aprile 2013

Hailé Selassié

Intervento  di fronte all'assemblea generale della Lega delle Nazioni
(Luglio 1936)



Nota
La denuncia fatta da Hailé Selassié contro l'aggressione italiana al suo popolo, compiuta attraverso l'inganno morale e l'uso di gas venefici, è una pagina particolarmente obbrobriosa nella lunga storia criminale dello statismo italiano. Di fronte a tutto ciò, la risposta degli altri governi fu così inadeguata, per non dire di peggio, da far prevedere la prossima ingloriosa fine della Lega delle Nazioni.


Io, Hailé Selassié I, Imperatore d'Etiopia, sono qui oggi per reclamare quella giustizia che è dovuta al mio popolo e quell'assistenza ad esso promessa otto mesi or sono da cinquantadue nazioni, quando queste affermarono che un atto di aggressione era stato compiuto in violazione dei trattati internazionali.
Nessuno, all'infuori dell'Imperatore, può rivolgere l'appello del popolo etiopico a queste cinquantadue nazioni.
Non esiste forse alcun precedente di un capo di Stato che prenda la parola di fronte a quest'Assemblea, ma è certo che non v'è alcun precedente di popoli che siano stati vittime di così grandi torti e, al tempo stesso, minacciati di abbandono ai loro aggressori. Mai, sinora, vi era stato l'esempio di un governo che procedesse allo sterminio di un popolo usando mezzi barbari, violando le più solenni promesse fatte a tutti i popoli della terra, che non si debba usare contro esseri umani la terribile arma dei gas venefici. È per difendere un popolo che lotta per la sua secolare indipendenza che il capo dell'Impero etiopico è venuto a Ginevra per adempiere a questo supremo dovere, dopo avere egli stesso combattuto alla testa dei suoi eserciti.
Prego Iddio onnipotente di risparmiare alle nazioni le terribili sofferenze che sono state inflitte negli ultimi tempi al mio popolo e delle quali i capi che sono qui al mio seguito sono stati inorriditi testimoni.
È mio dovere informare i governi riuniti a Ginevra, in quanto responsabili della vita di milioni di uomini, donne e bambini, del mortale pericolo che li minaccia, descrivendo il destino che ha colpito l'Etiopia.
Il governo italiano non ha fatto la guerra soltanto contro i combattenti: esso ha attaccato soprattutto popolazioni molto lontane dal fronte, al fine di sterminarle e di terrorizzarle.
Inoltre, verso la fine del 1935, aerei italiani hanno sganciato bombe lacrimogene sui miei eserciti. Esse ebbero però soltanto risultati limitati. I soldati appresero a sparpagliarsi, aspettando che il vento disperdesse rapidamente i gas velenosi.
L'aviazione italiana ricorse allora ad altri gas. Recipienti di liquido furono gettati su gruppi armati, ma anche questo mezzo fu inefficace: il liquido colpiva soltanto pochi soldati ed i recipienti, abbandonati al suolo, mettevano in guardia contro il pericolo i soldati e la popolazione.
Fu al tempo in cui si svolgevano le operazioni per accerchiare Makallè, che il Comando italiano, temendo una sconfitta, ricorse ai mezzi che io ho ora il dovere di denunciare al mondo.
Sugli aeroplani vennero installati degli irroratori, che potessero spargere su vasti territori una fine e mortale pioggia. Stormi di nove, quindici, diciotto aeroplani si susseguivano in modo che la nebbia che usciva da essi formasse un lenzuolo continuo. Fu così che, dalla fine del gennaio 1936, soldati, donne, bambini, armenti, fiumi, laghi e campi furono irrorati di questa mortale pioggia. Al fine di sterminare sistematicamente tutte le creature viventi, per avere la completa sicurezza di avvelenare le acque ed i pascoli, il Comando italiano fece passare i suoi aerei più e più volte. Questo fu il principale metodo di guerra.
Ma la vera raffinatezza nella barbarie consisté nel portare la devastazione ed il terrore nelle parti più densamente popolate del territorio, nei punti più lontani dalle località di combattimento. Il fine era quello di scatenare il terrore e la morte su una gran parte del territorio abissino.
Questa terribile tattica ebbe successo. Uomini ed animali soccombettero. La pioggia mortale che veniva dagli aerei faceva morire tutti quelli che toccava con grida di dolore. Anche coloro che bevvero le acque avvelenate o mangiarono i cibi infetti morirono con orribili sofferenze. Le vittime dei gas italiani caddero a decine di migliaia. È stato per denunciare al mondo civile le torture inflitte al popolo etiope che mi sono deciso a venire a Ginevra. Nessun altro all'infuori di me e dei miei coraggiosi compagni d'arme poteva portarne di fronte alle Nazioni l'incontestabile prova.
Gli appelli rivolti alla Lega dai miei delegati sono rimasti senza risposta; i miei delegati non sono stati testimoni oculari. Questo è il motivo per cui mi sono deciso a venire a testimoniare contro il crimine perpetrato sul mio popolo e a porre in guardia l'Europa per il destino che l'attende se non reagisce al fatto compiuto.
C'è bisogno che io ricordi all'Assemblea i diversi atti del dramma abissino?
Negli ultimi venti anni, come reggente e come Imperatore, ho diretto i destini del mio popolo. Ho cercato continuamente di portare al mio popolo i vantaggi della civiltà e specialmente di stabilire relazioni di buon vicinato con le potenze confinanti. In particolare, riuscii a concludere con l'Italia il trattato di amicizia del 1928, che proibiva assolutamente il ricorso, per qualsiasi motivo, alla forza delle armi, sostituendola obbligatoriamente con le procedure di arbitrato e di conciliazione, sulle quali le nazioni civili hanno fondato l'ordine internazionale.
Nella sua relazione del 5 ottobre 1935, il comitato dei tredici riconosceva i miei sforzi ed i risultati da me conseguiti. [...]
Avrei certamente ottenuto risultati maggiori per il mio popolo, se continui ostacoli non mi fossero stati frapposti dal governo italiano, che incitava alla rivolta ed armava i ribelli.
In realtà, il governo di Roma, come ritiene opportuno ora proclamare apertamente, si è continuamente preparato per la conquista dell'Etiopia. I trattati di amicizia, che esso ha firmato con me, non erano sinceri; il loro unico scopo era quello di ingannarmi sulle reali intenzioni italiane. Il governo italiano afferma che per quattordici anni esso è venuto preparando le sue attuali conquiste. Pertanto, ammette oggi che quando appoggiò l'ammissione dell'Etiopia nella Lega delle Nazioni nel 1923, quando stipulò il trattato d'amicizia nel 1928, quando firmò il patto di Parigi che bandiva la guerra, stava ingannando il mondo intero. Dal canto suo, il governo abissino vide in questi solenni trattati soltanto nuove garanzie di sicurezza, che lo ponevano in grado di compiere nuovi progressi sulla via pacifica delle riforme, nella quale si era avviato e alla quale si era dedicato con tutta la sua energia e tutto il suo entusiasmo.
Per me, l'incidente di Ual-Ual del dicembre 1934 giunse come un fulmine a ciel sereno. La provocazione italiana era evidente e non esitai a ricorrere alla Lega delle Nazioni. Invocai le norme del trattato del 1928, i principi del Covenant e chiesi con insistenza la procedura di conciliazione e di arbitrato.
Sfortunatamente per l'Etiopia, era il momento in cui un certo governo riteneva che la situazione europea fosse tale da rendere imperativa l'amicizia dell'Italia. Il prezzo pagato fu l'abbandono della indipendenza abissina alla discrezione del governo italiano. Questo accordo segreto, contrario agli obblighi del Covenant, ha avuto grande influenza sul corso degli eventi. L'Etiopia e il mondo stanno ancor oggi soffrendo delle disastrose conseguenze di esso.
Questa prima violazione del Covenant fu seguita da molte altre. Sentendosi incoraggiato nella sua politica anti-etiopica, il governo di Roma intraprese febbrili preparativi di guerra, pensando che la pressione concertata che cominciava ad essere esercitata sul governo abissino avrebbe potuto riuscire a superare la resistenza del mio popolo al dominio italiano. Si doveva guadagnar tempo; così, da ogni parte furono sollevate difficoltà in modo da prolungare la procedura di conciliazione e di arbitrato. Ogni sorta di ostacoli furono frapposti a quella procedura. Alcuni governi tentarono di impedire al governo abissino di trovare degli arbitri tra i propri cittadini. Non appena il tribunale arbitrale fu costituito, vennero esercitate pressioni per ottenere una sentenza favorevole all'Italia. Tutto fu vano. Gli arbitri - due dei quali erano funzionari italiani - furono costretti a riconoscere all'unanimità che, per l'incidente di Ual-Ual e per quelli ad esso conseguenti, non si poteva attribuire alcuna responsabilità internazionale all'Etiopia.
Dopo il lodo arbitrale, il governo abissino sperò sinceramente che si potesse aprire un'èra di amichevoli relazioni con l'Italia. Io stesi lealmente la mano al governo di Roma. [...]
Nell'ottobre del 1935, le cinquantadue nazioni che mi stanno ascoltando oggi mi dettero l'assicurazione che l'aggressore non avrebbe prevalso e che gli strumenti predisposti dal Covenant sarebbero stati potenziati in modo da garantire il rispetto della legge ed il fallimento della violenza.
Chiedo alle 52 nazioni di non dimenticare oggi la politica da esse intrapresa otto mesi or sono e sulla cui fede diressi la resistenza del mio popolo contro l'aggressore che essi avevano denunciato al mondo.
Nonostante l'inferiorità dei miei mezzi, la completa mancanza di aerei, artiglieria, munizioni e servizi sanitari, la mia fiducia nella Lega fu assoluta. Pensavo che fosse impossibile che 52 nazioni, tra le quali le più potenti del mondo, potessero essere tenute in iscacco con successo da un unico aggressore. Confidando nella fede dovuta ai trattati, non avevo intrapreso alcuna preparazione per la guerra e questo è anche il caso di numerose piccole nazioni europee. Quando il pericolo divenne più urgente, conscio delle mie responsabilità nei confronti del mio popolo, ho cercato di acquistare armi durante i primi mesi del 1935. Molti governi posero un embargo per impedirmi di far ciò, mentre il governo italiano, attraverso il Canale di Suez, otteneva tutte le facilitazioni per trasportare senza sosta e senza proteste, truppe, armi e munizioni. Il 3 ottobre 1935 le truppe italiane invasero il mio territorio. Poche ore più tardi decretai la mobilitazione generale. Nel mio desiderio di mantenere la pace avevo - seguendo l'esempio di un grande paese europeo al tempo della guerra mondiale - ritirato le mie truppe per trenta chilometri, in modo da eliminare ogni pretesto di provocazione.
Quindi la guerra fu condotta nelle terribili condizioni che ho esposto di fronte all'Assemblea.
Nell'impari battaglia tra un governo che ha più di 42 milioni di abitanti, che dispone di mezzi finanziari, industriali e tecnici che gli consentono di produrre quantità illimitate di strumenti mortali e un piccolo popolo di 12 milioni di anime, senza armi, senza risorse, che dispone soltanto della giustizia della propria causa e della promessa della Lega delle Nazioni, qual è stata l'effettiva assistenza fornita all'Etiopia dalle 52 nazioni che avevano dichiarato il governo di Roma colpevole di violazione del Covenant e si erano impegnate ad evitare il trionfo dell'aggressore? Veramente ogni Stato membro, com'era suo dovere fare in conseguenza della firma apposta all'articolo 16 del Covenant, ha considerato I'aggressore come se avesse commesso un atto di guerra direttamente rivolto contro di sé? Io avevo riposto tutte le mie speranze nel mantenimento di questi impegni. La mia fiducia era stata confermata dalle ripetute dichiarazioni fatte dal Consiglio per evitare che I' aggressione fosse compensata e che alla fine la forza fosse costretta a cedere di fronte alla legge. [...]
Affermo che la questione oggi all'esame dell'Assemblea è molto più vasta: non si tratta soltanto di emettere un giudizio sul problema dell'aggressione italiana. È un problema di sicurezza collettiva, della stessa esistenza della Società delle Nazioni, della fiducia riposta dagli Stati nei trattati internazionali, della promessa fatta ai piccoli Stati secondo la quale la loro integrità e indipendenza saranno rispettate. Si tratta di una scelta tra il principio dell'eguaglianza tra gli Stati e della imposizione alle piccole potenze dei legami del vassallaggio. In una parola, la questione riguarda la moralità internazionale. Forse che le firme apposte ai trattati internazionali hanno valore soltanto fino a quando le potenze firmatarie hanno un interesse personale, diretto ed immediato?
Nessun sofisma può cambiare la natura di questo problema o modificare i termini della discussione. È in piena sincerità che prospetto queste considerazioni all'Assemblea. In un momento in cui il mio popolo è minacciato di sterminio, in cui l'aiuto della Lega può evitare il colpo finale, mi sia concesso di parlare con estrema franchezza, senza reticenze e direttamente come è richiesto dal principio dell'eguaglianza degli Stati membri della Lega. A parte il Regno di Dio, non c'è sulla terra nazione che sia superiore alle altre. Se un governo forte acquista consapevolezza che esso può distruggere impunemente un popolo debole, quest'ultimo ha il diritto in quel momento di appellarsi alla Lega delle Nazioni per ottenere il giudizio in piena libertà.
Dio e la storia ricorderanno il vostro giudizio.
Ho udito affermare che le insufficienti sanzioni sin qui applicate non hanno raggiunto il loro scopo. In nessun momento, in nessuna circostanza delle sanzioni che erano deliberatamente insufficienti e deliberatamente mal applicate avrebbero potuto fermare un aggressore. Quando l'Etiopia chiedeva, come chiede, che gli fosse concesso un aiuto finanziario, si trattava forse di una misura impossibile da applicarsi? Forse che l'aiuto finanziario della Lega non era stato concesso - ed in tempi di pace - a due paesi, e proprio a due paesi che in questo caso rifiutano di applicare le sanzioni contro l'aggressore?
In presenza delle numerose violazioni da parte del governo italiano di tutti i trattati internazionali che proibivano il ricorso alle armi ed a metodi di guerra barbarici, oggi è stata presa l'iniziativa di ritirare le sanzioni. Che cosa significa, in pratica, questa decisione se non l'abbandono dell'Etiopia nelle mani del suo aggressore? Venendo, proprio nel momento in cui cercavo di fare uno sforzo supremo in difesa del mio popolo, di fronte a questa Assemblea, questa iniziativa non priva forse l'Etiopia di una delle ultime possibilità di ottenere l'aiuto e la garanzia degli Stati membri?  È forse questa la guida che la Lega delle Nazioni e ciascuno degli Stati membri debbono attendersi dalle grandi potenze che affermano il loro diritto ed il loro dovere di guidare l'azione della Lega?

mercoledì 17 aprile 2013

Silvio Corbari partigiano


...mancano pochi giorni all'apertura della mostra e tutto sta nascendo adesso.
Un po' per amore, un po' per sfida, un po' perchè "fare" gli artisti ci riempie di energia e ci fa stare assieme , e guardarsi basta....
Davide sta dipingendo  un po' di eroi della resistenza, questo è Corbari ,"Corbera" prima di essere un combattente...

martedì 16 aprile 2013

mostra " 25 aprile festa della liberazione"


...la mostra "25 aprile festa della liberazione" si farà! il comune di Portico e San Benedetto ci ha dato il patrocinio e per venerdì aspettiamo l'esito favorevole per il sostegno dell'ANPI associazione nazionale partigiani italiani.
Questa primavera che è sbocciata così di prepotenza di sicuro ci ha aiutato ,la linfa scorre assieme al sangue nuovo ,alle foglie, alle bisce...al primo sole...

lunedì 15 aprile 2013

Pier Paolo Pasolini
Le ceneri di Gramsci
I
 
Non è di maggio questa impura aria
che il buio giardino straniero
fa ancora più buio, o l'abbaglia
 
con cieche schiarite... questo cielo
di bave sopra gli attici giallini
che in semicerchi immensi fanno velo
 
alle curve del Tevere, ai turchini
monti del Lazio... Spande una mortale
pace, disamorata come i nostri destini,
 
tra le vecchie muraglie l'autunnale
maggio. In esso c'è il grigiore del mondo,
la fine del decennio in cui ci appare
 
tra le macerie finito il profondo
e ingenuo sforzo di rifare la vita;
il silenzio, fradicio e infecondo...
 
Tu giovane, in quel maggio in cui l'errore
era ancora vita, in quel maggio italiano
che alla vita aggiungeva almeno ardore,
 
quanto meno sventato e impuramente
sano
dei nostri padri - non padre, ma umile
fratello - già con la tua magra mano
 
delineavi l'ideale che illumina
 
(ma non per noi: tu morto, e noi
morti ugualmente, con te, nell'umido
 
giardino) questo silenzio. Non puoi,
lo vedi?, che riposare in questo sito
estraneo, ancora confinato. Noia
 
patrizia ti è intorno. E, sbiadito,
solo ti giunge qualche colpo d'incudine
dalle officine di Testaccio, sopito
 
nel vespro: tra misere tettoie, nudi
mucchi di latta, ferrivecchi, dove
cantando vizioso un garzone già chiude
 
la sua giornata, mentre intorno spiove.
II
 
Tra i due mondi, la tregua, in cui non
siamo.
Scelte, dedizioni... altro suono non hanno
ormai che questo del giardino gramo
 
e nobile, in cui caparbio l'inganno
che attutiva la vita resta nella morte.
Nei cerchi dei sarcofaghi non fanno
 
che mostrare la superstite sorte
di gente laica le laiche iscrizioni
in queste grigie pietre, corte
 
e imponenti. Ancora di passioni
sfrenate senza scandalo son arse
le ossa dei miliardari di nazioni
 
più grandi; ronzano, quasi mai
scomparse,
le ironie dei principi, dei pederasti,
i cui corpi sono nell'urne sparse
 
inceneriti e non ancora casti.
Qui il silenzio della morte è fede
di un civile silenzio di uomini rimasti
 
uomini, di un tedio che nel tedio
del Parco, discreto muta: e la città
che, indifferente, lo confina in mezzo
 
a tuguri e a chiese, empia nella pietà,
vi perde il suo splendore. La sua terra
grassa di ortiche e di legumi dà
 
questi magri cipressi, questa nera
umidità che chiazza i muri intorno
a smotti ghirigori di bosso, che la sera
 
rasserenando spegne in disadorni
sentori d'alga... quest'erbetta stenta
e inodora, dove violetta si sprofonda
 
l'atmosfera, con un brivido di menta,
o fieno marcio, e quieta vi prelude
con diurna malinconia, la spenta
 
trepidazione della notte. Rude
di clima, dolcissimo di storia, è
tra questi muri il suolo in cui trasuda
 
altro suolo; questo umido che
ricorda altro umido; e risuonano
- familiari da latitudini e
 
orizzonti dove inglesi selve coronano
laghi spersi nel cielo, tra praterie
verdi come fosforici biliardi o come
 
smeraldi: "And O ye Fountains..." - le pie
invocazioni...
III
 
Uno straccetto rosso, come quello
arrotolato al collo ai partigiani
e, presso l'urna, sul terreno cereo,
 
diversamente rossi, due gerani.
Lì tu stai, bandito e con dura eleganza
non cattolica, elencato tra estranei
 
morti: Le ceneri di Gramsci... Tra
speranza
e vecchia sfiducia, ti accosto, capitato
per caso in questa magra serra, innanzi
 
alla tua tomba, al tuo spirito restato
quaggiù tra questi liberi. (O è qualcosa
di diverso, forse, di più estasiato
 
e anche di più umile, ebbra simbiosi
d'adolescente di sesso con morte...)
E, da questo paese in cui non ebbe posa
 
la tua tensione, sento quale torto
- qui nella quiete delle tombe - e insieme
quale ragione - nell'inquieta sorte
 
nostra - tu avessi stilando le supreme
pagine nei giorni del tuo assassinio.
Ecco qui ad attestare il seme
 
non ancora disperso dell'antico dominio,
questi morti attaccati a un possesso
che affonda nei secoli il suo abominio
 
e la sua grandezza: e insieme, ossesso,
quel vibrare d'incudini, in sordina,
soffocato e accorante - dal dimesso
 
rione - ad attestarne la fine.
Ed ecco qui me stesso... povero, vestito
dei panni che i poveri adocchiano in
vetrine
 
dal rozzo splendore, e che ha smarrito
la sporcizia delle più sperdute strade,
delle panche dei tram, da cui stranito
 
è il mio giorno: mentre sempre più rade
ho di queste vacanze, nel tormento
del mantenermi in vita; e se mi accade
 
di amare il mondo non è che per violento
e ingenuo amore sensuale
così come, confuso adolescente, un tempo
 
l'odiai, se in esso mi feriva il male
borghese di me borghese: e ora, scisso
- con te - il mondo, oggetto non appare
 
di rancore e quasi di mistico
disprezzo, la parte che ne ha il potere?
Eppure senza il tuo rigore, sussisto
 
perché non scelgo. Vivo nel non volere
del tramontato dopoguerra: amando
il mondo che odio - nella sua miseria
 
sprezzante e perso - per un oscuro
scandalo
della coscienza...
  IV
 
Lo scandalo del contraddirmi,
dell'essere
con te e contro te; con te nel core,
in luce, contro te nelle buie viscere;
 
del mio paterno stato traditore
- nel pensiero, in un'ombra di azione -
mi so ad esso attaccato nel calore
 
degli istinti, dell'estetica passione;
attratto da una vita proletaria
a te anteriore, è per me religione
 
la sua allegria, non la millenaria
sua lotta: la sua natura, non la sua
coscienza: è la forza originaria
 
dell'uomo, che nell'atto s'è perduta,
a darle l'ebbrezza della nostalgia,
una luce poetica: ed altro più
 
io non so dirne, che non sia
giusto ma non sincero, astratto
amore, non accorante simpatia...
 
Come i poveri povero, mi attacco
come loro a umilianti speranze,
come loro per vivere mi batto
 
ogni giorno. Ma nella desolante
mia condizione di diseredato,
io possiedo: ed è il più esaltante
 
dei possessi borghesi, lo stato
più assoluto. Ma come io possiedo la
storia,
essa mi possiede; ne sono illuminato:
 
ma a che serve la luce?
  V
 
Non dico l'individuo, il fenomeno
dell'ardore sensuale e sentimentale...
altri vizi esso ha, altro è il nome
 
e la fatalità del suo peccare...
Ma in esso impastati quali comuni,
prenatali vizi, e quale
 
oggettivo peccato! Non sono immuni
gli interni e esterni atti, che lo fanno
incarnato alla vita, da nessuna
 
delle religioni che nella vita stanno,
ipoteca di morte, istituite
a ingannare la luce, a dar luce
all'inganno.
Destinate a esser seppellite
le sue spoglie al Verano, è cattolica
la sua lotta con esse: gesuitiche
 
le manie con cui dispone il cuore;
e ancor più dentro: ha bibliche astuzie
la sua coscienza... e ironico ardore
 
liberale... e rozza luce, tra i disgusti
di dandy provinciale, di provinciale
salute... Fino alle infime minuzie
 
in cui sfumano, nel fondo animale,
Autorità e Anarchia... Ben protetto
dall'impura virtù e dall'ebbro peccare,
 
difendendo una ingenuità di ossesso,
e con quale coscienza!, vive l'io: io,
vivo, eludendo la vita, con nel petto
 
il senso di una vita che sia oblio
accorante, violento... Ah come
capisco, muto nel fradicio brusio
 
del vento, qui dov'è muta Roma,
tra i cipressi stancamente sconvolti,
presso te, l'anima il cui graffito suona
 
Shelley... Come capisco il vortice
dei sentimenti, il capriccio (greco
nel cuore del patrizio, nordico
 
villeggiante) che lo inghiottì nel cieco
celeste del Tirreno; la carnale
gioia dell'avventura, estetica
 
e puerile: mentre prostrata l'Italia
come dentro il ventre di un'enorme
cicala, spalanca bianchi litorali,
 
sparsi nel Lazio di velate torme
di pini, barocchi, di giallognole
radure di ruchetta, dove dorme
 
col membro gonfio tra gli stracci un
sogno
goethiano, il giovincello ciociaro...
Nella Maremma, scuri, di stupende fogne
 
d'erbasaetta in cui si stampa chiaro
il nocciolo, pei viottoli che il buttero
della sua gioventù ricolma ignaro.
 
Ciecamente fragranti nelle asciutte
curve della Versilia, che sul mare
aggrovigliato, cieco, i tersi stucchi,
 
le tarsie lievi della sua pasquale
campagna interamente umana,
espone, incupita sul Cinquale,
 
dipanata sotto le torride Apuane,
i blu vitrei sul rosa... Di scogli,
frane, sconvolti, come per un panico
 
di fragranza, nella Riviera, molle,
erta, dove il sole lotta con la brezza
a dar suprema soavità agli olii
 
del mare... E intorno ronza di lietezza
lo sterminato strumento a percussione
del sesso e della luce: così avvezza
 
ne è l'Italia che non ne trema, come
morta nella sua vita: gridano caldi
da centinaia di porti il nome
 
del compagno i giovinetti madidi
nel bruno della faccia, tra la gente
rivierasca, presso orti di cardi,
 
in luride spiaggette...
 
Mi chiederai tu, morto disadorno,
d'abbandonare questa disperata
passione di essere nel mondo?
VI
 
Me ne vado, ti lascio nella sera
che, benché triste, così dolce scende
per noi viventi, con la luce cerea
 
che al quartiere in penombra si
rapprende.
E lo sommuove. Lo fa più grande, vuoto,
intorno, e, più lontano, lo riaccende
 
di una vita smaniosa che del roco
rotolio dei tram, dei gridi umani,
dialettali, fa un concerto fioco
 
e assoluto. E senti come in quei lontani
esseri che, in vita, gridano, ridono,
in quei loro veicoli, in quei grami
 
caseggiati dove si consuma l'infido
ed espansivo dono dell'esistenza -
quella vita non è che un brivido;
 
corporea, collettiva presenza;
senti il mancare di ogni religione
vera; non vita, ma sopravvivenza
 
- forse più lieta della vita - come
d'un popolo di animali, nel cui arcano
orgasmo non ci sia altra passione
 
che per l'operare quotidiano:
umile fervore cui dà un senso di festa
l'umile corruzione. Quanto più è vano
 
- in questo vuoto della storia, in questa
ronzante pausa in cui la vita tace -
ogni ideale, meglio è manifesta
 
la stupenda, adusta sensualità
quasi alessandrina, che tutto minia
e impuramente accende, quando qua
 
nel mondo, qualcosa crolla, e si trascina
il mondo, nella penombra, rientrando
in vuote piazze, in scorate officine...
 
Già si accendono i lumi, costellando
Via Zabaglia, Via Franklin, l'intero
Testaccio, disadorno tra il suo grande
 
lurido monte, i lungoteveri, il nero
fondale, oltre il fiume, che Monteverde
ammassa o sfuma invisibile sul cielo.
 
Diademi di lumi che si perdono,
smaglianti, e freddi di tristezza
quasi marina... Manca poco alla cena;
 
brillano i rari autobus del quartiere,
con grappoli d'operai agli sportelli,
e gruppi di militari vanno, senza fretta,
 
verso il monte che cela in mezzo a sterri
fradici e mucchi secchi d'immondizia
nell'ombra, rintanate zoccolette
 
che aspettano irose sopra la sporcizia
afrodisiaca: e, non lontano, tra casette
abusive ai margini del monte, o in mezzo
 
a palazzi, quasi a mondi, dei ragazzi
leggeri come stracci giocano alla brezza
non più fredda, primaverile; ardenti
 
di sventatezza giovanile la romanesca
loro sera di maggio scuri adolescenti
fischiano pei marciapiedi, nella festa
 
vespertina; e scrosciano le
saracinesche
dei garages di schianto, gioiosamente,
se il buio ha resa serena la sera,
 
e in mezzo ai platani di Piazza Testaccio
il vento che cade in tremiti di bufera,
è ben dolce, benché radendo i capellacci
 
e i tufi del Macello, vi si imbeva
di sangue marcio, e per ogni dove
agiti rifiuti e odore di miseria.
 
È un brusio la vita, e questi persi
in essa, la perdono serenamente,
se il cuore ne hanno pieno: a godersi
 
eccoli, miseri, la sera: e potente
in essi, inermi, per essi, il mito
rinasce... Ma io, con il cuore cosciente
 
di chi soltanto nella storia ha vita,
potrò mai più con pura passione operare,
se so che la nostra storia è finita?
 
1954
Gramsci è sepolto in una piccola tomba del Cimitero degli Inglesi, tra Porta San Paolo e Testaccio, non lontano dalla tomba di Shelley. Sul cippo si leggono solo le parole: "Cinera Gramsci" con le date.

lunedì 1 aprile 2013

...ultimo giorno per "in cerca di cibo"

...ultimo giorno per "in cerca di cibo" vorrei dedicare a tutti quelli che l'hanno visitata e ai lettori di questo blog questa poesia un pò "bislacca" e Blue Monk di Thelonious Monk uomo-medicina dalla magica musica.
Grazie a tutti


Senza amore non si vive
di morir non ne ho più voglia
come un'albero la foglia
me ne sto quassù a guardare
gli ippopotami argentati
le giraffe con gli occhiali
gli elefanti ad annusare.
Con le scimmie sto a cantare
chi mi dice che son matto
mando un bacio
quatto quatto
sulla bocca fa svenire.
E' L'AMORE!
fa IMPAZZIRE!




giovedì 28 marzo 2013



ai ceppi sto col cane accanto
insieme ad ululare
un poco anche guaire
un poco da mangiare?
un tozzo un cozzo
un bacio una carezza
scusate la mollezza
di un cuore inaridito
amare è vorticare
cader precipitare
il fondo non toccare

mercoledì 27 marzo 2013


Felice come una rosa innamorata
fiorisco
poi (s)fiorisco
e non distinguo più
le lacrime dalla rugiada
Questo è il mattino.
di questi petali ne faccio vento
dalle spine teneri virgulti

mercoledì 20 marzo 2013

campo di concentramento in Corso Diaz

FATTI DI STORIA SU CORSO ARMANDO DIAZ
1) Nell'attuale Via Sara Levi Nathan, probabilmente, nel passato, c'era un ghetto ebreo ed ora con questa via si ricorda l'antica presenza di un gruppo di ebrei, non molto numerosi, che avevano ottenuto dalle autorità competenti, grazie alle loro attività di orefici, un banco in piazza e potevano cosi esercitare la loro attività e sviluppare il commercio.
2) Il giorno 12/02/92 il gruppo n.4 formato da Zanoni, Gurioli, Milanesi e Binzoni, durante un'intervista, ha avuto delle informazioni da due signori che hanno loro riferito che dove ora si trova la farmacia Natalini, durante la seconda guerra mondiale vi era un albergo che serviva come luogo di smistamento e raccolta degli Ebrei, prima che essi venissero portati al campo di aviazione per essere fucilati. Queste informazioni sono state poi confermate in un articolo riportato sul "Resto del Carlino-Forlì" del 12/02/92 dove venivano date notizie sul "lager" di ebrei in Corso A. Diaz. L'articolo diceva che, con un documento della questura, si era venuti a conoscenza di un campo di concentramento in Corso Diaz, dislocato nell'albergo Commercio. Gli Ebrei provenivano dalle carceri di Cesena, Ravenna ed erano trasferiti a Forlì per poi essere fucilati. In memoria di questi brutali eccidi sono rimaste sei lapidi, scarsamente visibili, nel nostro Cimitero Monumentale. I Forlivesi più anziani forse hanno ancora presenti questi momenti di atrocità, ma il loro ricordo della guerra, dei dolori e delle sofferenze personali ha sbiadito nella loro memoria tali episodi che invece noi giovani dovremmo conoscere per imparare la tolleranza ed il rispetto.

campo di concentramento di Forlì

http://it.wikipedia.org/wiki/Campo_di_concentramento_di_Forl%C3%AC

...durante una ricerca sulla rete ho trovato questa voce ,di questo orrore non ne so niente.
è attendibile questa notizia?
e se non lo è perchè nessuno la smentisce?
voglio approfondire questa vicenda e spero nel vostro aiuto.

aurelioraggi

martedì 19 marzo 2013

Alfred Eisenstaedt

...non c'è una sezione dedicata alla fotografia all'interno della mostra ,la fotografia ,a torto, a volte non è neanche considerata una forma d'arte. In compenso ci sono le scarpe di Ferragamo! nella mia "ipotetica" sezione dedicata alla fotografia per primi metto questi due scatti "italiani" di Eisenstaedt.
Foto che non hanno bisogno di presentazione....

Alfred Eisenstaedt

...abissino ucciso durante l'invasione dell'Etiopia da parte dell'esercito italiano, questa foto, scattata da Eisenstaedt  fu censurata dal regime...

domenica 17 marzo 2013

il punto di vista di Vittorio Sgarbi...


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La mostra sul 'Novecento' a Forlì: atterrano i fascisti sull’arte
Una grande rassegna esalta la produzione artistica durante il regime. Ma, nell’ansia di documentare il lavoro di nomi poco noti, dimentica tragicamente i veri geni del Novecento
di Vittorio Sgarbi
A pochi giorni della chiusura della mostra fiorentina Anni 30. Arti in Italia oltre il fascismo, a cura di Antonello Negri con l’evidente demarcazione di un confine ideologico, apre Novecento. Arte e vita in Italia fra le due guerre , a cura di Francesco Mazzocca, ai Musei di San Domenico di Forlì (fino al 16 giugno, catalogo Silvana). Mentre la prima intendeva proseguire il progetto revisionistico della memorabile mostra Arte moderna in Italia 1915-1935 proposta nella stessa sede, Palazzo Strozzi, da Carlo Ludovico Ragghianti nel 1967, evidenziando l’autonomia di alcuni artisti dal regime, la formidabile esposizione forlivese è una dichiarata esaltazione della promozione delle arti durante il fascismo. In perfetta coerenza con la riconosciuta azione innovativa, dopo le avanguardie, di Margherita Sarfatti e Giuseppe Bottai, almeno fino al 1938. E, siccome tutto si tiene, sembra incredibile che l’inaugurazione della mostra, in un comune amministrato dal centrosinistra, segua di poche ore la criticatissima dichiarazione di Silvio Berlusconi: "Mussolini ha fatto anche cose buone, tranne le indifendibili leggi in difesa della razza". Meglio di così...
La mostra dà ragione al tanto vituperato esponente politico e non esprime, programmaticamente, alcun cenno di critica al regime, seguendone l’evoluzione fino al declino, peraltro non registrato. In controcanto sembra di risentire le parole di Giacomo Noventa il quale, coraggiosamente, affermava: "Il fascismo non fu un errore contro la cultura italiana, ma della cultura italiana". Eccola tutta rappresentata in una mostra meravigliosa di capolavori ritrovati e anche di opere mediocri, meritevoli di attenzione, in un nesso fra arte e propaganda che era perfettamente evidenziato dal titolo, naturale per questa mostra: Dux, arte italiana negli anni del consenso, che sarebbe stato frettolosamente sostituito per ragioni di opportunità. Ma il taglio della mostra e l’impegno del curatore sono evidentemente riferibili a quel tema, illustrato nei settori dell’architettura di regime, della pittura, figurativa e monumentale, di regime, della scultura aulica e solenne, della moda di regime, per non parlare del mobilio e dei manifesti di propaganda.
Evidentemente Mazzocca si è attenuto al mandato e ha recuperato anche molte opere poco viste e conosciute. Il nuovo titolo Novecento, secondo il supervisore, commissario del popolo, Gianfranco Brunelli, dovrebbe fare riferimento alla stagione del movimento denominato Novecento, fondato da Sarfatti e proposto nelle grandi rassegne del 1926 e del 1929 al Palazzo della Permanente a Milano. I più interessati ricordano, dopo la grande occasione della mostra di Ragghianti, la precisissima mostra sul Novecento italiano del 1983, a cura di Rossana Bossaglia e riproposta nella sede originale. Ma basta leggere l’elenco degli artisti per capire che il taglio della mostra di Forlì è molto più legato ai rapporti fra arte e fascismo che non allo spirito di Novecento, anche se è lodevole che si sia ottenuto il prestito di dipinti fondamentali come In tram di Virgilio Guidi, assente e rimpianto nella mostra milanese. Ma come giustificare la presenza del fascistissimo Antonio Maraini e dell’imbarazzante e celebrativo Cesare Sofianopulo?
Non mancano assoluti capolavori di Mario Sironi, di Arturo Martini, il meraviglioso La quiete di Felice Carena e opere notevoli di Libero Andreotti e Fausto Pirandello. Opportunamente Antonio Donghi dialoga con Felice Casorati. Ma perché Gian Emilio Malerba e non Alberto Ziveri? E qui inizia, a fronte di un titolo onnicomprensivo, un gioco al massacro che, partendo dal nuovo titolo, rende improbabile perfino il profetico ritratto di Jeanne con il figlio, quella Maternità di Gino Severini, di un troppo precoce 1916, e impone una riflessione sugli ingiustificati assenti. Primo fra tutti (e non mancava nella mostra della Bossaglia) Giorgio Morandi, le cui nature morte fra le due guerre sono testimonianze essenziali di una radicata e originaria visione afascista, e antifascista nella sostanza interiore. Lo stesso si può dire per un altro impossibile assente: Filippo De Pisis, perduto nei suoi sogni, e di un maestro essenziale del Novecento, come Scipione.
Lungo sarebbe l’elenco degli esclusi: Gino Rossi, il sublime Arturo Nathan, morto in campo di concentramento, il grande e innovativo Vittorio Bolaffio, Attilio Selva, Marino Marini, Francesco Trombadori, Riccardo Francalancia, Giulio Aristide Sartorio, Armando Spadini. E, ancora, l’accademico Romano Romanelli, il popolare Giuseppe Gorni, il visionario Gianfilippo Usellini, il magico Franco Gentilini. Parliamo di artisti di qualità assoluta e spesso fuori dei confini, delle regole e dell’ordine prediletti dal regime. Ma anche per il Novecento di Sarfatti resta incomprensibile l’assenza di opere di Raffaele de Grada, di Gigiotti Zanini e soprattutto di quella icona di Novecento che è La madre di Carlo Bonomi, accostabile sia alla precoce Maternità di Gino Severini sia alle forme assolute di Adolfo Wildt. Non entriamo nel territorio deliberatamente ignorato dell’arte astratta, da Fausto Melotti a Manlio Rho, da Mauro Reggiani a Mario Radice.
Insomma, una grande mostra deviata verso una prospettiva forse troppo vasta, e incompleta fuori dello stretto nesso "arte e propaganda" durante il fascismo. Se di Novecento vogliamo parlare, infatti, per infierire fino in fondo, come non rimarcare l’assenza dell’eccentrico e imprendibile, ma assoluto, Osvaldo Licini? Così, ammirati dalla straordinaria organizzazione e dalla meticolosa documentazione, con prestiti straordinari, vogliamo auspicare il seguito: L’altro Novecento. La vendetta.

Marchel Duchamp

Maternità di Gino Severini è del 1916 ,è il quadro che presenta la mostra, un'anno prima della"Fontana" di Duchamp. Fra le due opere c'è un'abisso ,due galassie in allontanamento, da una parte l'artigiano alla ricerca del gesto perfetto ,dall'altra il filosofo ,l'antropologo ,l'artista rivoluzionario. Duchamp taglia con l'accetta il cordone ombelicale fra arte e potere ,dall'orinatoio si compie la genesi dell'artista contemporaneo,nasce un mondo nuovo,
La fontana è un'opera universale ,Marcel Duchamp è un'artista universale ! questa "invenzione" spazza via le opere che propagandano questa italietta fascista, come foglie al vento.
La colloco nelle prima sale, le più violente , accanto a profilo continuo. Fontana purificatrice? abbeveratoio?
L'ARTISTA DEVE ANDARE ALL'UNIVERSITA'?
Marcel Duchamp

Bête comme un peintre (Stupido come un pittore). Questo proverbio francese risale almeno ai tempi di Boème de Murger, intorno al 1880, esi usa tuttora come battuta nelle discussioni.

Perché l’artista dovrebbe essere considerato meno intelligente del Signor Tutti? Sarà perché la sua abilità è essenzialmente manuale e non ha rapporto immediato con l’intelletto? Comunque sia, si ritiene generalmente che il pittore non ha bisogno di un’educazione particolare per diventare un grande Artista.
Ma queste considerazioni non hanno più corso oggi, i rapporti tra l’Artista e la società sono cambiatidal giorno in cui, alla fine del secolo scorso, l’Artista ha affermato la sua libertà. Invece di essere un artigiano impiegato da un monarca, o dalla Chiesa, l’artista d’oggi dipinge liberamente, e non è più al servizio dei mecenati ai quali, al contrario, impone la propria estetica. In altre parole, l’Artista è ora completamente integrato nella società.
Emancipato da più di un secolo, l’Artista d’oggi si presenta come un uomo libero, dotato delle stesse prerogative del cittadino comune e parla da pari all’acquirente delle sue opere.

Naturalmente, questa liberazione dell’Artista ha come contropartita qualcuna delle responsabilità che poteva ignorare quando era un paria o un essere intellettualmente inferiore. Tra queste responsabilità, una delle più importanti è l’EDUCAZIONE dell’intelletto, benché professionalmente, l’intelletto non sia la base della formazione del genio artistico.
Evidentemente la professione di Artista ha preso il suo posto nella società d’oggi a un livello paragonabile a quello delle professioni “liberali”. Non è più, come prima, una specie di artigianato superiore. Per restare a questo livello e sentirsi alla pari di avvocati, medici, eccetera, l’Artista deve ricevere la stessa formazione universitaria.

E ancora, l’Artista gioca nella società moderna un ruolo molto più importante di quello di un artigiano o di un buffone. Si trova faccia a faccia con un mondo fondato su un materialismo brutale in cui tutto è
valutato in funzione del BENESSERE MATERIALE e in cui la religione, dopo aver perso molto terreno, non è più la grande dispensatrice di valori spirituali.
Oggi l’Artista è uno strano serbatoio di valori paraspirituali in opposizione assoluta al FUNZIONALISMO quotidiano per il quale la scienza riceve l’omaggio di una cieca ammirazione. Dico “cieca”, perché non credo nell’importanza suprema di queste soluzioni scientifiche che non toccano neppure i problemi personali dell’essere umano.

Per esempio i viaggi interplanetari sembrano essere uno dei primissimi passi verso il cosiddetto “progresso scientifico” e tuttavia, in ultima analisi, non si tratta che di un allargamento del territorio a disposizione dell’uomo. Non posso impedirmi di considerare questa come una semplice variante del MATERIALISMO attuale che conduce l’individuo sempre più lontano alla ricerca del proprio io interiore.
Questo ci porta all’importante preoccupazione dell’Artista d’oggi che è, a mio modo di vedere, quella di informarsi e di tenersi al corrente del cosiddetto “PROGRESSO MATERIALE QUOTIDIANO”.

Dotato com’è di una formazione universitaria, l’Artista non ha da temere di essere assillato da complessi nei rapporti con i suoi contemporanei. Grazie a questa educazione disporrà degli strumenti adeguati per opporsi a questo stato di cose materialista attraverso il canale di culto dell’io in un quadro di valori spirituali.
Per illustrare la situazione dell’Artista nel mondo economico contemporaneo, si osserverà che ogni lavoro ordinario è remunerato più o meno secondo il numero di ore passate a compierlo, mentre nel caso di un quadro il tempo impiegato per la sua esecuzione non entra in conto quando si tratta di fissarne il prezzo e questo prezzo varia con la notorietà di ogni artista.

I valori spirituali o interiori menzionati più sopra e di cui l’Artista è per così dire il dispensatore, concernono solo l’individuo preso separatamente, in contrasto con i valori generali che si applicano all’individuo parte della società.
E sotto l’apparenza, sarei tentato di dire sotto il travestimento di un membro della razza umana, l’individuo è di fatto completamente solo e unico e le caratteristiche comuni a tutti gli individui presi in massa non hanno nessun rapporto con l’esplosione solitaria di un individuo lasciato a se stesso.
Max Stirner, nel secolo scorso, ha molto chiaramente stabilito questa distinzione nella sua notevole opera Der Einziger und Sein Eigentum, e se una gran parte dell’educazione si applica allo sviluppo di queste caratteristiche generali, un’altra parte altrettanto importante della formazione universitaria sviluppa le facoltà più profonde dell’individuo, l’autoanalisi e la conoscenza della nostra eredità spirituale.
Tali sono le importanti qualità che l’Artista acquisisce all’Università e che gli permettono di mantenere vive le grandi tradizioni spirituali con cui la religione stessa sembra aver perso contatto. Credo che oggi più che mai l’Artista abbia questa missione parareligiosa da riempire: mantenere accesa la fiamma di una visione interiore di cui l’opera d’arte sembra essere la traduzione più fedele per il profano.

Inutile dire che per compiere questa missione è indispensabile il più alto grado di educazione.

Testo di un intervento pronunciato in inglese in occasione di un colloquio organizzato a Hofstra il 13 maggio 1960. Traduzione di Elio Grazioli.

mercoledì 13 marzo 2013

Guernica


Guernica ...
Guernica non cè nella mostra...hanno scelto la bagneuse "autoritratto" ermafrodita di Picasso da piazzare nellla sala del mare, quadro misterioso enigmatico forse un ritratto inconscio della "misoginia" del maestro.
Guernica è il quadro "politico" per eccellenza del 900 ,Picasso l'ha dipinta nel 1937 per ricordare una strage ,il 26 aprile 1937 aerei tedeschi della legione Condor ,in appoggio alle truppe del generale Franco contro il governo legittimo repubblicano di Spagna ,rasero al suolo ,con un bombardamento terroristico ,la cittadina basca di Guernica.
Guernica è il 900 , un'opera che è tutto il mondo ,il momento più alto della sua ricerca cubista.
Guernica la espongo idealmente nella prima sala del San Domenico ,credo il refettorio dell'ex convento,in fondo alla sala sotto ai santi.

Aurelio Raggi

martedì 12 marzo 2013

Sandro Pertini


...la rabbia non scema! mi trovo a discutere  la mia presa di posizione su 900 e mi sento dire "...che vuoi è l'arte fra le 2 guerre.. rappresenta questo movimento..." come se rappresentare il capo di una banda di assassini (sul fatto che Mussolini sia stato questo io non ho dubbi!) e la sua propaganda in tutte le salse non possa più offendere nessuno. Siamo arrivati a questo! della riflessione critica sull'arte di quel periodo non me ne frega nulla ,i busti del duce ,il monumento all'eroe africano ,la giustizia con il fascio littorio in mano se li portino nei loro salotti gli inventori della mostra ,ne possiamo fare ancora a meno! non sopportiamo già abbastanza? dal picchetto d'onore alla tomba del duce alle marce dei nostalgici a Predappio ai bazar di articoli fascisti che vendono le svastiche?
La sinistra italiana che è stata così brava rinnegare i propri padri si è anche dimenticata cosa significa essere antfascista ?

AurelioRaggi

domenica 10 marzo 2013

Giacomo Matteotti vittima del fascismo


...sono schifato,indignato,incazzato,imbestialito! esco da qualche ora dal San Domenico, museo fiore all'occhiello di Forlì capoluogo della mia provincia , oggi ospita "900" ,così l'hanno chiamata! un'apologia del fascismo travestita bene! La mostra mi ha fatto vomitare! vomitare è la parola giusta quando penso al fascismo a quello che ha prodotto, morte e distruzione, vedove ed orfani ,e tutto ciò che nei racconti di mio nonno è diventato memoria orale e ha formato la mia coscienza, e tutto questo nella mia terra che ha pagato un prezzo così alto che le ferite non saranno mai rimarginate.Vorrei che il direttore artistico di questa mostra che ha offeso la memoria di tutti i martiri del fascismo, visitasse Tavolicci e Marzabotto .
sono questi i proggetti educativi di cui abbiamo bisogno? in questo modo dobbiamo educare i nostri figli ?
è questa arte? ancora non siamo riusciti ad accettare le colpe di cui siamo stati responsabili durante il più buio periodo del '900 che stiamo facendo il tentativo di cancellarlo.
sono indignato come uomo, come padre , come antifascista ,come artista!

 Aurelio Raggi
...nella speranza che i pochi lettori affezzionati di questo blog "linkino " questo post
grazie a tutti